La diffusione di strumenti digitali nel settore sanitario ne sta accelerando la conoscenza e l’uso da parte di cittadini, medici e strutture sanitarie nelle diverse fasi del percorso di cura. La Digital Medicine rappresenta un tassello importante della gestione della cronicità e uno specifico aspetto di interesse è rappresentato dai Percorsi Diagnostici Terapeutici e Assistenziali (PDTA), strumenti utili per la presa in carico e gestione delle condizioni croniche, come riconosciuto all’interno dei Piani Nazionali a cura del Ministero della Salute.
Il Dr. Giuseppe Recchia, daVinci Digital Therapeutics e daVi DigitalMedicine, e il Dr. Carlo Piccinni, Fondazione ReS (Ricerca e Salute), membri del Gruppo di Lavoro del Progetto MaCroScopio – Osservatorio della cronicità e tra gli autori dell’articolo “Applicazioni della digital medicine ai PDTA: tassonomia, metodologia, impatto sul paziente e barriere da superare” 1, hanno ripreso tali tematiche in un’intervista a PolifarmaNext.
Le applicazioni (“app”) digitali per la salute erano stimate in 351.000 allo scorso giugno e presentano sui diversi store virtuali un aumento di circa 100.000 all’anno (seppure una parte rilevante vengano anche ritirate), per cui possiamo stimare che abbiano superato le 400.000 unità.
“App” non qualifica la finalità o l’obiettivo del software, è un termine generico. App può essere un contapassi o una terapia digitale oncologica, esattamente come il termine “compressa” non qualifica il farmaco, potendo essere una caramella, un integratore, un farmaco da banco o un farmaco oncologico.
È il “come” che qualifica la “app”, ovvero come è stato sviluppato e certificato.
La gran parte delle app oggi disponibili sono proposte per finalità di benessere, sono rivolte a consumatori che vogliono migliorare delle funzioni fisiologiche. Ad esempio vogliono dormire meglio, anche se non soffrono di insonnia.
Queste app per il benessere non richiedono prove di efficacia per essere usate e non sono sottoposte a supervisione regolatoria.
Molte di queste rappresentano solo dei gadget, dei giocattoli, altre possono avere certamente un ruolo di rilievo nel mantenimento del benessere o nella prevenzione.
Dovrebbero tuttavia essere valutate da parti terze a tutela dei consumatori, in quanto anche le app per il benessere possono fare male, nuocere. Ad esempio fornendo informazioni errate ai consumatori o trasferendo in modo inappropriato i loro dati senza consenso.
Diverso è il caso delle applicazioni destinate alla gestione di malattie. Qui siamo nell’ambito del paziente, del medico, della malattia, non più del consumatore. Siamo nell’are della “Digital Medicine”. In questo caso le applicazioni devono essere sviluppate come dispositivi medici digitali, devono essere sottoposte a ricerca in grado di fornire prova della loro efficacia e devono essere certificate come dispositivi medici.
Più che possibile, è necessario. Il rigore metodologico non deve essere differenziato sulla base della tecnologia – chimica, biologica o digitale - che eroga l’intervento terapeutico.
In termini di obiettivi terapeutici, un antidepressivo digitale non è diverso da un antidepressivo chimico e probabilmente lo stesso si potrà dire rispetto alla sua posizione nel percorso terapeutico. Lo scenario verosimile nel prossimo futuro è quello del medico che prescrive un antidepressivo digitale in sostituzione o in aggiunta a un antidepressivo chimico.
Sebbene il meccanismo di azione sia completamente diverso, il fatto che il principio attivo sia chimico o digitale non cambia l’effetto terapeutico che si vuole ottenere, ovvero ridurre la severità o i sintomi dello stato depressivo. La natura del principio attivo responsabile dell’effetto terapeutico è secondaria rispetto all’obiettivo terapeutico.
Per tale motivo, il medico si aspetta che entrambi gli antidepressivi (indipendentemente dalla tecnologia che sostiene tale effetto) diano la medesima garanzia in merito all’efficacia e alla tollerabilità: non è possibile creare una situazione nella quale vi siano certezze quando prescrive la forma chimica e dubbi quando prescrive la forma digitale. In questo contesto non possono essere accettate prove di evidenza inferiori per DTx rispetto a una terapia farmacologica standard.
Indipendentemente dalla natura del principio attivo e del percorso regolatorio, le prove cliniche devono pertanto essere le stesse, sia per quantità sia per metodologia della loro generazione.
È inoltre lecito attendersi che, qualora l’antidepressivo chimico sia rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale, lo sia anche l’antidepressivo digitale, se non diverso dal primo per efficacia e tollerabilità.
Bisognerà evitare che percorsi di valutazione diversi, basati sulla natura dell’elemento responsabile dell’effetto terapeutico e non sull’obiettivo terapeutico, risultino controproducenti nella prospettiva ultima del beneficio per il paziente. Occorre altresì evitare - all’interno della medesima indicazione terapeutica - una sottostima del valore terapeutico della DTx nella scala gerarchica delle opzioni terapeutiche possibili, ciò che renderà ragionevolmente necessaria una estesa attività di formazione dei medici.
L’inserimento di strumenti di digital medicine nei PDTA più che una “valore aggiunto” dovrebbe essere considerato una “necessità” e, sono del parere, che in futuro sarà da annoverare tra gli “elementi essenziali” del PDTA stesso.
Questo perché, se da un lato il PDTA rappresenta lo strumento organizzativo con cui è possibile rispondere alla sempre crescente domanda di salute e di gestione delle condizioni croniche (basti pensare a diabete, scompenso cardiaco e BPCO per farsi un’idea del numero di soggetti coinvolti), dall’altro gli strumenti di digital medicine rappresentano i mezzi con cui sarà sempre più possibile realizzare l’integrazione dei diversi setting assistenziali (ospedale – territorio – domicilio del paziente).
L’importanza della digital medicine nella gestione delle cronicità, sebbene riconosciuta fin dal 2016 con l’approvazione del Piano Nazionale delle Cronicità (PNC) dove era considerata un “asse trasversale”, diventerà sempre più rilevante con la futura riforma della assistenza di prossimità prevista dal DM71 “modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale”, in ottemperanza alla Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Per comprendere il ruolo centrale della digital medicine nel cambiamento organizzativo in atto, basti immaginare il ruolo delle Centrali Operative Territoriali (COT) chiamate a monitorare da remoto una grande quantità di parametri clinici di pazienti cronici dislocati sul territorio, sia al proprio domicilio, sia nelle nuove strutture sanitarie previste dalla riforma, quali Case delle Comunità, Ospedali della Comunità e Hospice.
Ad oggi, da un’analisi dei PDTA regionali sul diabete e la BPCO approvati fino al 2020 mediante il sistema PDTA Net di Fondazione ReS, non si citano strumenti di digital medicine, ma vi si trovano riferimenti all’uso della telemedicina e agli strumenti di consultazione della documentazione clinica (ad esempio il fascicolo sanitario elettronico). In ogni caso, questi esempi sono pochi e non coprono la totalità dei PDTA per diabete e BPCO pubblicati ufficialmente. Questa situazione era, tuttavia, attesa, trovandoci di fronte sia all’assenza di rimborsabilità dei prodotti di digital medicine da parte del Servizio Sanitario Nazionale, sia a uno scarso aggiornamento dei PDTA stessi.
Prima di arrivare al corretto posizionamento delle terapie digitali nei PDTA che, proprio in virtù del loro essere “terapie” necessitano di essere sottoposte a un processo valutativo metodologicamente rigoroso, è importante comprendere come sia possibile incorporare nei PDTA la digital medicine in tutte le sue declinazioni.
Infatti, considerato che tale necessità sarà sempre più pressante, risulta strategico “smontare” i PDTA esistenti, ripensarli e riscriverli in funzione del nuovo modello assistenziale previsto dal DM71, e “rimontarli” prevedendo al loro interno il corretto ruolo della digital medicine.
Questo passaggio dovrebbe essere accompagnato dalla ideazione di adeguati sistemi di valutazione della efficacia e sicurezza degli strumenti di digital medicine, prevedendo nei PDTA specifici indicatori di processo ed esito che li contemplino.
Inoltre, poiché i PDTA si innestano all’interno dei modelli organizzativi stabiliti a livello regionale, occorre chiarire che, per evitare che si creino (o meglio, si acuiscano) differenze di accesso tra i pazienti di regioni diverse e si crei una vera e propria “babele” di strumenti di digital medicine, è indispensabile definire un quadro regolatorio unico a livello nazionale. Questo dovrebbe normare a livello nazionale i processi di valutazione, HTA e rimborso degli strumenti di digital medicine, individuando sempre a livello nazionale le istituzioni sanitarie e gli organismi preposti. Solo successivamente, le Regioni potranno decidere quali strumenti, tra quelli approvati e rimborsati a livello nazionale, inserire nei propri PDTA, al fine di migliorare l’assistenza e, quindi, la salute dei propri cittadini. A ben vedere, un sistema così strutturato non si discosterebbe molto da quanto si fa attualmente con i farmaci!
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