Lo sviluppo delle tecnologie mediche, e, più di recente, delle esperienze di cura digitalizzate, non ha cancellato la centralità della relazione fra medico e paziente e l’importanza del contesto terapeutico ma ne ha certamente ampliato la definizione.
La medicina moderna ha progressivamente sostituito con interventi medici complessi i riti e i rituali personali, le formule, i canti, la musica, e il ricorso agli spiriti guida, che caratterizzavano le pratiche dei guaritori e degli sciamani di un tempo. D’altra parte, più o meno consciamente, tutti i pazienti sentono di apprezzare i sostituti moderni (per quanto assai più blandi) di questi rituali.
Infatti, chi non ha notato con piacere come paziente di essere stato chiamato per nome, aver ricevuto parole di incoraggiamento, o essere stato oggetto di gesti gentili da parte di un medico, comunque oberato di lavoro, e spesso costretto in un contesto asettico e spersonalizzante?
Dopo le rivoluzioni tecnologiche che hanno consentito alla medicina progressi inimmaginabili a partire dalla diffusione degli antibiotici, dagli anni 80 in poi del secolo scorso si è fatta strada la consapevolezza di quanto potesse essere arricchito l’approccio medico attraverso lo sviluppo di tecniche di relazione basate su competenze di comunicazione terapeutica. La ‘medicina narrativa’ è oggi ampiamente diffusa ed applicata in vari contesti.
Secondo le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità:
‘Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la co-costruzione di un percorso di cura personalizzato e condiviso (storia di cura)’¹.
La base di questo approccio presuppone che la condivisione della sua esperienza della malattia e di quella di eventuali caregiver, offra al paziente una opportunità ulteriore di guarigione e cura, che la partecipazione attiva lo renda soggetto e non più oggetto del percorso terapeutico.
Un approccio che declina in modernità la consapevolezza già sintetizzata da Platone:
‘il più grande errore nel trattamento delle malattie è che ci sono medici per il corpo e medici per l’anima, anche se le due cose non dovrebbero essere separate’ dando uno spazio all’anima, al vissuto dei malati.
Questa definizione pone ovviamente l’accento su aspetti chiave di comunicazione e relazione, condivisione e reciproco scambio. Gesti e parole sempre troppo rari nella relazione medico paziente che si sono quasi dissolti durante il confinamento causato dalla pandemia quando accanto alla tragedia generata dal virus si è consumato ulteriormente il labile legame umano fra il medico e i suoi malati. La mediazione della tecnologia ha tamponato le necessità emergenziali e oggi apprezziamo l’effetto di innovazione che ha interessato finalmente in modo profondo il sistema di cura.
La stessa pandemia che ci ha costretti a relazioni da remoto più o meno evolute nei percorsi di cura, ci ha permesso anche di sperimentare quanto queste possano mutare anche le dimensioni rituali delle esperienze ‘vis a vis’.
Abbiamo sostituito la pausa caffè in ufficio davanti al distributore di bevande con brevi video conferenze conviviali per interrompere la solitudine di certe giornate in smart working, rigorosamente muniti di tazza. Abbiamo persino spento candeline davanti alla webcam, e, forse, acceso le girandole con cui abbiamo festeggiato un nuovo anno sperando ci facesse uscire finalmente dal confinamento e dall’ansia, sperimentando le stesse emozioni, la stessa commozione e sollievo nelle relazioni.
A volte la distanza fisica ci ha addirittura portati a rafforzare le nostre relazioni e a crearne di nuove. Del resto, i nostri figli adolescenti sperimentano un mondo di amicizie molto ricco e non meno intenso del nostro, espresso moltissimo attraverso il digitale con rituali e gergalità che richiamano lo ‘struscio’ o il ‘muretto’ dei baby boomer.
Le esperienze relative alla cura non fanno eccezione per quanto riguarda l’alone rituale delle interazioni da remoto. In questo caso però la consapevolezza degli operatori è un elemento importante per valorizzarne la capacità terapeutica.
Mentre i luoghi fisici dedicati alla cura, che oggi possiamo finalmente ritornare a frequentare con una certa tranquillità, restano spesso troppo asettici se non inospitali; è più semplice ricreare una situazione di socialità e intimità di relazione in un luogo virtuale più o meno dedicato alla cura di sé. Molte esperienze di gruppi di ascolto e di sostegno si spostano così dalle stanze fisiche alle chat room con risultati sorprendenti, e l’opportunità di allargarne esperienze e benefici ben oltre i confini geografici.
La medicina narrativa, dunque, si è spostata anche nel mondo virtuale con l’utilizzo di mezzi laici come i gruppi Facebook etc. o i siti dedicati.
Esempi interessanti sono:
L’importanza di individuare i ‘rituali’ necessari a rafforzare il valore terapeutico coinvolge anche le pratiche di telemedicina più tradizionali come la televisita o il tele-monitoraggio.
Se può essere difficile cogliere nei contesti medici tradizionali l’eredità delle pratiche antiche (la sala d’attesa, le domande ‘di rito’, il camice, …) che pure sono parte integrante dell’esperienza medico-paziente si può immaginare la complessità di apprezzarne e ricrearne il valore in ambito digitale. Eppure, diversi studi evidenziano che queste simbologie in spazi ‘fisici’ sono in grado di rafforzare l’esito terapeutico (prima di tutto in termini di compliance e fiducia) e addirittura di creare effetti placebo o nocebo a seconda di quanto accuratamente vengano messe in atto.
La riflessione in corso sulla necessità di completare la transizione digitale, accelerata dalla pandemia con gli indispensabili corollari tassonomici e normativi, quindi non dovrebbe trascurare l’approfondimento sulle modalità possibili per rendere la prestazione di telemedicina parte di una narrazione digitale, di un percorso di grado di rinforzare la relazione di cura.
Gli strumenti digitali consentono in primis di moltiplicare le interazioni medico-paziente, sia in modo sincrono che asincrono, riducendo l’impegno di tempo per il medico e il paziente (o caregiver), ma ampliando le opportunità di scambio. Inoltre, gli spazi digitali consentono una maggiore personalizzazione del rapporto di cura, e, allo stesso tempo, offrono la possibilità di raccogliere una enorme quantità di informazioni utili a migliorare le soluzioni da offrire a tutti i pazienti. Si chiude così il cerchio fra medicina narrativa, narrazione personale e intima, e data driven medicine, fondata su evidenza e sintesi oggettiva dell’esperienza.
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